Archives, histoire, documentation

Eugene ZELIKMAN
rédigé le Dimanche 2 Février 2014
Désultoirement vôtre ! - Archives, histoire, documentation - Références culturelles
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Frans Pourbus the Younger (Flemish, 1569–1622)
Isabel de Bourbon, Queen of Spain, 1615
(at age of 13)

In Spain, Elisabeth's French name took on the Spanish form of Isabel.Elisabeth of France (1602 – 1644) was Queen consort of Spain (1621 to 1644) and Portugal (1621 to 1640) as the 1st wife of King Philip IV of Spain. She was the eldest daughter of King Henry IV of France and his 2nd spouse Marie de' Medici. As a daughter of the king of France, she was born a Fille de France. As the eldest daughter of the king, she was known at court as Madame Royale.

Rodrigo Villandrande (Spanish, 1586-1623)
Portrait of an unknown Lady
(presumably, Isabella of France at age of 18)
Isabel de Bourbon, Queen of Spain, 1st wife of Philip IV, 1620
(Museo Nacional del Prado - Madrid, Spain

N.D.L.R. : Postérieure de quelques années à la Chaslerie.
Ceci dit, même pour un mariage, personne n'a jamais été aussi richement vêtu dans ces murs-ci.

(Sir) Peter Paul Rubens (Flemish, 1577 - 1640)
Marchesa Brigida Spinola Doria, 1606
Oil on canvas
152 x 99 cm
National Gallery of Art, Washington DC

On his long stay in Italy (1600–09) Rubens worked in Genoa, a prosperous seaport. He painted this proud Genoese aristocrat in 1606. It is 1 of number of female portraits Rubens made in Genoa, a city renowned as a paradise of women. The Genoese republic, governed by a wealthy oligarchy, granted women unusual respect and constitutional freedoms. The marchesa's image conveys both lively humanity and dignity and commands real physical presence. Her gaze, as well as the angle of the architecture, indicates the painting was meant to be seen from below. The painting was much larger before the canvas was cut down in the 19 century. The marchesa's pose is far from static; it is activated by light, by the diagonal flow of a red curtain, and by Rubens' brushwork. The marchesa's satin dress is built up of layers of translucent glazes and highlighted with thick, freely painted strokes.
Rubens combined this bold style—which he learned from his study of Venetian artists like Veronese, Tintoretto, Titian with the tradition for detailed, carefully observed surfaces from his native Flanders.

N.D.L.R. : Contemporaine de la Chaslerie.
Les bras m'en tombent de bon matin. Comment peut-on être aussi nul ?

Voici en effet les documents que je viens de scanner. Ils ont été annotés par "Maître Henri LEVÊQUE".
Maître en quoi, on n'ose l'imaginer.

On retrouve d'abord les horribles percements sous la sablière, tels qu'ils ont hélas été autorisés, à l'époque, par l'administration des affaires culturelles :

Et, si l'on tourne un abattant...

... voici ce que l'on découvre :


Ou encore :

On l'a donc échappé belle.

Mais le pire est à venir.
En effet, il est désormais prouvé de façon formelle que les escaliers absurdes de l'"aile de la belle-mère" sont le produit de l'esprit torturé du Tonton que l'on sait :

Quand je vois cela, je me dis qu'(...) !

P.S. (du 9 octobre 2021) : Quelques soixante-dix ans après que de telles horreurs ont pu être approuvées par les instances des affaires culturelles, je ne comprends toujours pas comment un tel forfait a pu être ne serait-ce qu'envisagé. Certes, à l'époque, la priorité du pays était de se reconstruire, d'où, entre autres, l'usage forcené du ciment. Mais quand même....
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, "I Bari", 1595-96 - Olio su tela, 91x128 cm, Kimbell Art Museum, Forth Worth -

Una delle composizioni di maggior successo di Caravaggio sin dalla sua creazione. L'opera, di evidente influenza veneta (già Bellori, biografo del Merisi e di altri artisti, ravvisava nel dipinto un esempio dei "primi tratti del pennello di Michele in quella schietta maniera di Giorgione"), pose le basi di un nuovo tipo di pittura di genere che divenne subito molto popolare e che i seguaci di Caravaggio adottarono in grande scala. La scena mostra due giocatori di carte intenti a truffare un giovane signorotto: l'ingenua vittima, rilassata, sta per giocare la sua carta senza essersi accorta dell'uomo che alla sue spalle avvisa il complice, pronto a scattare. A livello tematico, la raffigurazione si rifà al teatro e alla coeva commedia d'arte, e allo stesso tempo funge da monito morale nei confronti dell'osservatore. In primo piano, sulla sinistra, è collocato anche un gioco del "backgammon", cosicché il dipinto serve da monito non soltanto contro le carte, ma contro i pericoli del gioco in generale. (Luca)

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, "La Buona Ventura", 1595-96 - Olio su tela, 115x150 cm, Musei Capitolini, Roma -

Oggi questo dipinto di Caravaggio viene considerato quasi all'unanimità la prima versione del soggetto. Insieme ai Bari, anch'esso faceva parte della collezione Del Monte. La scena, rifacendosi alla commedia teatrale dell'epoca, mostra una giovane zingara che col pretesto di leggere la mano ad un giovane signorotto nel frattempo non esita a sfilargli l'anello dal dito, approfittando dell'infatuazione del ragazzo. Nel palazzo del Cardinal Del Monte l'opera venne esposta di fronte ai Bari, anche se non nacque per esserne il pendant. Così riuniti, insieme i due dipinti acquisirono una forte valenza simbolica. (Luca)

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, "Maddalena Penitente", 1595-96 - Olio su tela, 122,5 x 98,5 cm, Galleria Doria Pamphilj, Roma -

Un dipinto la cui origine è ancora molto discussa, dal momento che non esistono fonti certe che ne attestino la provenienza. Qui Caravaggio non rappresentò la Santa intenta ad espiare le proprie colpe (com'era consuetudine sin dal Rinascimento) ma fermò l'attimo della fase transitoria della sua conversione. Maddalena, seduta su di una sedia insolitamente bassa, si lascia totalmente andare, come si può notare dalle lacrime che scendono sul suo viso, totalmente sopraffatta dall'intensa esperienza spirituale. Ha già abbandonato i suoi classici attributi, ma indossa ancora la sua veste di broccato. Di primo impatto, comunque l'immagine potrebbe essere scambiata per una semplice scena di genere data la sua semplicità. Anche il punto di vista è abbastanza inusuale: è rialzato, quasi a volo di uccello. Della modella che impersonò Maddalena, Caravaggio se ne servì anche per il precedente o di poco successivo "Riposo durante la fuga in Egitto". (Luca)

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, "La Vocazione di San Matteo", 1599-1600 - Olio su tela, 322 x 340 cm, Cappella Contarelli, San Luigi dei Francesi, Roma -

I due quadri laterali della Cappella furono realizzati nell'arco di un anno, tra il Luglio del 1599 e quello del 1600. E' probabile che Caravaggio mise innanzitutto mano al Martirio, ma le difficoltà incontrate nella progettazione della sua prima opera di grande formato lo indussero a dedicarsi alla scena della Vocazione. Il pittore scelse di enfatizzare il momento del Vangelo in cui l'apostolo accoglie la chiamata di Cristo - mirabile il modo in cui Caravaggio traduce la composizione, assimilabile ad un rilievo antico. Levi (il nome con cui è introdotto Matteo nei Vangeli), il pubblicano dalla lunga barba, è raffigurato nella metà sinistra del dipinto seduto insieme ad altri suoi compagni, decisamente sorpreso della chiamata. Gesù, all'opposto, tende il braccio verso Levi ordinandogli di seguirlo. Ad oggi l'identificazione di Matteo rimane ancora controversa: alcuni sostengono sia effettivamente l'uomo dalla lunga barba o addirittura il capotavola chino a contare i soldi, avvolto nell'ombra. In ogni caso, la lettura convenzionale vede nel vecchio barbuto il personaggio di Levi. Bellissimo il modo in cui Caravaggio traspone il racconto, la scena sembra essere ambientata in una qualsiasi osteria della Roma di allora, con gli occupanti che potrebbero ricordare tranquillamente personaggi degni dei Bari o della Buona Ventura. Il significato dopotutto è chiaro: nell'oscurità di quel covo e delle persone che lo occupano, Cristo porta luce e spezza le tenebre. Il fascio che proviene da destra, una perfetta diagonale che cade direttamente sul futuro Matteo, è l'unica sorgente di luce del dipinto. Altri dettagli degni di nota sono Cristo (una sottile citazione dell'Adamo michelangiolesco della Cappella Sistina) e San Pietro (quest'ultimo aggiunto successivamente per bilanciare meglio la composizione): sono le uniche figure abbigliate secondo i costumi tradizionali - volutamente contrapposti a quelli secenteschi degli altri personaggi - dettaglio volto a rivendicare la sacralità e la misticità della scena.

Facendo naturalmente un sunto, spero di aver scritto una descrizione la più completa possibile di quella che per me è l'opera più bella in assoluto di Caravaggio (e scusate ancora per essermi dilungato)! (Luca)

N.D.L.R. : Contemporain de la Chaslerie.
M. MAFFRE m'a demandé de rédiger un historique des constructions de la Chaslerie, en distinguant entre ce qui relève des données avérées ou des conjectures. Voici de quoi m'occuper un moment, surtout si j'essaye d'illustrer mon propos par des photos de ma collection. De plus, je lui ai confié hier mes exemplaires des principales références bibliographiques, ce qui ne va pas simplifier ma tâche ici.

Je vais néanmoins essayer de faire la synthèse de ce que j'ai appris à ce sujet au cours des vingt et quelques dernières années.

(début de l'historique)

La Chaslerie est un ensemble manorial typique du bocage Domfrontais, en limite normande du Massif Armoricain. Cet ensemble, dénommé localement un « village », fut édifié du 16ème au 18ème siècle sur un site beaucoup plus ancien dont il subsiste des vestiges significatifs (douves et murs percés de nombreuses meurtrières).

La géologie de cette extrémité du Massif Armoricain laisse affleurer des roches vieilles d'environ 450 millions d'années, alignées, comme le synclinal Domfront-Mortain, selon un axe Est-Ouest.

Dans un rayon de 500 mètres autour de la Chaslerie, ces roches sont des grès schisteux, c'est-à-dire une pierre dure et difficile à tailler ; les carrières qui ont été utilisées pour construire la Chaslerie sont très vraisemblablement celles dont il subsiste la trace, l'une et l'autre à cette distance du manoir, l'une au Nord (à proximité du lieu-dit dénommé Guéviel), l'autre en haut de l'Avenue de la Chaslerie. On trouve aussi du granite (ressemblant beaucoup plus au bleu de Vire qu'aux granits de Chausey) à quelques kilomètres au Nord de la Chaslerie.

La documentation disponible montre que, pour les couvertures, ardoises et tuiles étaient également utilisées dans le Domfrontais, étant signalé qu'un important centre potier existait jusqu'au début du XXème siècle à Ger, qui utilisait la terre extraite des parties inondables de La Haute-Chapelle :

La Chaslerie a été édifiée à proximité d'un vieux gué, le Guéviel, qui se trouve au confluent d'un ruisseau, le Beaudouët (également appelé Choisel), qui traverses ses terres et alimente ses douves en eaux, et de l'Egrenne.

La Chaslerie se trouve bâtie à flanc de coteau et son logis regarde essentiellement vers l'Est et l'amont du Beaudouët ; il en entend les bruits (longtemps agricoles, désormais pétaradants parfois, comme les motos de jeunes barbares voisins, adeptes du moto-cross sauvage, ce qui pose un problème qui devra être traité) et en domine la vallée alluviale dont le fond marécageux fut asséché lorsque fut cantonnée par des douves la parcelle dénommée Pournouët (un nom révélateur de cette fonction d'assainissement du terrain) en bordure Ouest de laquelle fut construit le manoir.

(A suivre)
Les encres de couleur de mon imprimante s'épuisent ; les tirages des cartes géologiques que j'ai ensuite scannées s'en ressentent. Voici, néanmoins, où se trouve la Chaslerie (marquée par un petit rond bleu), sur deux cartes précédemmment mises en ligne :

On voit que des failles ont fracturé le grès dans son proche voisinage. L'une d'elles (figurée en trait continu sur la première carte, ce qui signifie qu'elle affleure) se situe le long du coteau qui borde la Chaslerie au Nord-Est. Une autre (en pointillés sur la première carte mais à l'origine d'un cisaillement sur la seconde) a permis, semble-t-il, le passage de l'Egrenne à travers la barre de roches dures du fond du synclinal, désormais érodé au point de porter les points culminants du secteur. De même, une troisième aurait permis le passage de la Varenne au pied de l'éperon de Domfront.

A noter que ces cartes ont été dressées par M. Christian ENOUF qui avait souhaité me rencontrer et que je vais relancer afin d'en apprendre un peu plus sur ces questions de géologie. Celles-ci sont importantes en pratique. En effet, toutes les carrières du secteur ont fermé. Donc, pour me procurer les pierres nécessaires à la restauration de notre manoir favori (par exemple pour les mur d'escarpe qui nécessitera 500 m3 de matériaux), je suis obligé d'acheter des bâtiments en ruine. Encore faut-il qu'ils aient été construits avec les bons grès. Or, à l'époque où il n'y avait guère de routes, les constructeurs utilisaient les pierres trouvées sur place. Je dois donc parcourir les filons, orientés Est-Ouest, étant entendu que, dès que je m'éloigne de 500 mètres au Nord ou au Sud, je sors du bon secteur, alors que je peux y demeurer sur des dizaines de kilomètres vers l'Est ou vers l'Ouest.

P.S. (du 9 octobre 2021) : Les nombreuses failles relevées, même très sommairement, dans le secteur de la Chaslerie expliquent sans doute pourquoi, lors des forages effectués fin 2018, il a pu être trouvé, selon l'expression verbale du foreur, M. BREBANT, une "rivière souterraine" à soixante mètres sous la charretterie.
Pour comprendre l'histoire des constructions de la Chaslerie, il faut prolonger le propos géologique par des considérations sur l'histoire du Domfrontais et sur son économie. Ayant prêté à M. MAFFRE mon fond de bibliothèque sur ces questions, je me bornerai à évoquer ici les principaux faits que j'ai retenus et le ferai de façon qualitative.

Quant à l'histoire, il faudrait évoquer les voies romaines. Je crois me souvenir qu'il en passait une du côté de Lonlay, sans doute orientée Nord-Sud, donc qui devait tangenter la Chaslerie.

Bornons-nous, pour les temps les plus anciens, à évoquer la fondation de l'abbaye de Lonlay, au début du XIème siècle. Un gué devait permettre aux pélerins de traverser l'Egrenne. A l'évidence, ce gué était notre Guéviel. On peut imaginer qu'une famille de costauds s'était assuré le contrôle de ce passage obligé, de manière à prélever un péage sur les pélerins ; ceci devait se faire avec l'assentiment de l'abbé et selon une clé de répartition appropriée de la manne.

Quelle était cette famille ? On l'ignore. Peut-être s'appelait-elle CHASLES, comme le mathématicien ? A ma connaissance, rien ne l'atteste.

On sait qu'en termes de féodalité, la Chaslerie avait pour seigneur l'abbé de Lonlay. Sans doute est-ce là la raison pour laquelle on ne retrouve pas trace de la Chaslerie dans le grimoire recensant les propriétés nobles du secteur au Moyen-Âge. On n'a pas de mal à imaginer qu'il devait y avoir un recensement indépendant pour les biens de l'Eglise. Ceci d'autant plus que l'abbaye n'était pas une possession quelconque puisque, à sa fondation, elle avait été confiée à un cousin d'Hugues Capet.

(A préciser et à suivre ; je le ferai dans l'après-midi ; dans l'immédiat, je dois me rendre à Pontorson pour rencontrer 4 candidats-locataires ; envie de pousser jusqu'à Cancale pour y déguster quelques huîtres et un kouign amann de Roellinger ; mais, seul, ce n'est pas très rigolo...).

P.S. (du 9 octobre 2021) : Sur la voie romaine du secteur, je me rappelle un très intéressant exposé d'Eric de FRILEUZE lors d'une promenade du "Rallye Bellefontaine". La voie romaine passait, si mes souvenirs sont bons, du côté de la Guyardière, c'est-à-dire à environ deux kilomètres à l'Est de la Chaslerie, dont l'orientation était ainsi tournée vers cette voie, comme pour en entendre mieux les rumeurs.
Pierre-Paul FOURCADE
rédigé le Jeudi 13 Février 2014
Désultoirement vôtre ! - Archives, histoire, documentation - Références culturelles
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Le "Publicateur" fait sa une, cette semaine, sur le projet de vente du manoir de la Saucerie, avec, en gros titre : "Une vente scandaleuse ?" et en phrase d'accroche : "Restauré en partie grâce à des fonds soulevés par une association, le Manoir de la Saucerie, à La Haute Chapelle, vient d'être mis en vente. Scandaleux ou pas ? A vous de juger."

Cet appel au peuple souverain est en réalité lancé par un individu en mal de notoriété depuis toujours et dont on a pu mesurer ici l'inefficacité et la propension à multiplier les leçons de morale, comme s'il avait encore la moindre légitimité en la matière. Le "président DESGRIPPES", puisque c'est ainsi que le canard l'appelle, voudrait passer pour un "historien local" mais n'est qu'un vulgaire plagiaire des cancans colportés depuis CAILLEBOTTE, qu'il se borne pour l'essentiel à assortir de photos dans l'ouvrage sur les manoirs du Domfrontais qu'il a signé sans faire état de son pompage manifeste. A propos de la Saucerie, le "président DESGRIPPES" se dit "amer" et met en avant son prétendu "boulot de fou", "des heures et des jours de travail qui ne sont aujourd'hui pas récompensés", "même pas pour couvrir (ses) frais de route". Il ose traiter les vendeurs de capitulards et affirme que "C'est en partie le travail de (son) association qui permet de mettre le bien en vente à un tel prix" (636 700 €, paraît-il).

Cette prétendue enquête de moralité qui occupe une pleine page du journal, avec 4 photos à l'appui, se poursuit par un interrogatoire du propriétaire actuel, réduit à reconnaître qu'il n'a pas les moyens de poursuivre la restauration d'une demeure qui était dans sa belle-famille depuis 1450. Le journal ose imprimer cet aveu en gras.

Ô combien je trouve méprisable l'attitude de Bernard DESGRIPPES, même si elle ne me surprend pas, venant de sa part ! Et combien je regrette qu'au lieu d'appeler le public à prononcer une condamnation, l'hebdomadaire en question ne lance pas une souscription pour sauver ce manoir, qui est de loin le plus pittoresque et le plus emblématique du Domfrontais !

Là, ils auraient pu être utiles, enfin.
Là, ils sont absents, hélas.

P.S. : Par l'intermédiaire de leur "page Facebook", je suis entré en discussion avec la rédaction de cet hebdomadaire pour définir ce que pourraient être les contours d'une telle souscription. Pour qu'il n'y ait pas d'ambiguïté sur ma démarche, je leur ai précisé que ni moi, ni personne de mon entourage, n'était candidat au rachat de la Saucerie ni n'en avait les moyens.

P.S. 2 (du 26 juin 2020 à 3 heures) : Relisant ce message, je trouve qu'il donne une image trop négative de Bernard DESGRIPPES, sympathique animateur de la vie culturelle locale et excellent connaisseur de l'histoire du bocage et de sa parlure.

Pour autant, je persiste à considérer qu'il avait franchement déconné en suscitant cet article de presse. La question de la transmission du patrimoine est - je crois être assez bien placé pour le dire - très délicate à beaucoup d'égards. Il est malvenu qu'interfèrent des personnes extérieures au dossier, qui ne peuvent donc pas en connaître toutes les dimensions.

Je persiste non moins à considérer que la valeur marchande d'un monument historique peut se révéler très inférieure à son prix de revient, c'est-à-dire au total, même non actualisé, des factures réglées pour sa restauration.

A ce titre, le prix initial de mise sur le marché de la Saucerie, en 2014 donc, m'était apparu excessif, même si je ne l'avais jamais exprimé aussi nettement qu'ici.

Au-delà de ces péripéties et épiphénomènes, je souhaite très sincèrement que le châtelet d'entrée de la Saucerie, symbole emblématique de la Normandie, ait la chance de retrouver bientôt un maître d'ouvrage sensible à son charme exceptionnel et soucieux de lui faire passer sur cette Terre encore quelques siècles de bonheur.
Je tarde à écrire l'histoire architecturale de la Chaslerie parce que je ne sais comment exprimer les réserves méthodologiques que m'inspirent les travaux des érudits locaux auto-proclamés qui, depuis deux siècles, ont monopolisé le débat sur l'histoire du Domfrontais en général et de la Chaslerie en particulier.

Le premier dans le temps de ces prétendus hommes de savoir était CAILLEBOTTE. Ses opinions politiques l'inclinaient à prendre le parti des acheteurs de Biens Nationaux. Cet individu avait payé au poids le chartrier de la Chaslerie. Il a pu à loisir le maquiller ou en faire disparaître des pièces importantes. Plus tard, certaines ont été dispersées par un marchand de vieux papiers, DURAND de SAINT-FRONT. Pourtant la valeur scientifique des publications du premier ou des contributions du second n'a jamais, à ma connaissance, été discutée. Les suiveurs, jusqu'à nos jours, y compris hélas au sein de l'Université, ont trouvé plus commode et moins fatiguant de pomper ce que ces filtres orientés avaient laisser passer.

J'entends ramener, disons-le clairement, un peu d'honnêteté intellectuelle dans un débat si longtemps dévoyé.

(A suivre)
A propos de CAILLEBOTTE, voici le dernier élément de preuve trouvé à propos de la façon dont cet érudit local auto-proclamé a mis la main sur le chartrier de la Chaslerie. Il s'agit de deux extraits de la préface par Gabriel HUBERT au "Livre de Marie d'Espagne", tel que publié par le "Pays Bas-Normand" et tel que j'ai pu le consulter à la Médiathèque de Domfront, où l'on ne peut d'ailleurs ni l'emprunter, ni même le photocopier.

Voir le dernier paragraphe de la page de droite.

Voir le troisième paragraphe de la page de gauche.

Essayons d'en finir avec cette histoire architecturale de la Chaslerie.

J'avais indiqué que je dirais un mot de l'économie du Domfrontais. Il me paraît en effet important de signaler que le Domfrontais est une région pauvre, et ceci depuis longtemps. La prospérité a tenu, quelque temps, au relief. Les seigneurs de Bellême ont en effet édifié une série de places-fortes, dont Domfront, au sommet d'éminences naturelles. A son apogée, Domfront appartenait à un douaire royal.

(A suivre. Si un visiteur du site veut m'aider à rédiger ce laïus, il est le bienvenu !)
Voici mon historique des constructions de la Chaslerie :

(début de citation)

. J'ignore s'il n'y avait qu'une ferme à l'origine ; mon hypothèse est qu'il y avait un manoir détruit par les Anglais au début de la guerre de 100 ans, qui avait permis à une famille de costauds de contrôler le gué voisin (le Guéviel, au confluent du Beaudouët ou Choisel et de l'Egrenne, distant d'environ 500 mètres du manoir actuel), point de passage obligé pour se rendre à l'abbaye de Lonlay en venant du Sud. Mon hypothèse est que l'ancien manoir était bâti sur la terrasse actuelle, terrasse dont le mur Ouest est percé de meurtrières orientées vers l'Ouest ; la chapelle, dont les fenêtres sont ogivales avait été bâtie du même côté de ce mur que cet ancien manoir. La question se pose de savoir si les deux tours rondes du logis, percées de meurtrières diverses, ne sont pas antérieures au corps principal du logis actuel. Sur le tympan de sa porte sur cour, le logis actuel porte la date 1598. Ce tympan est manifestement dû au même ciseau que ceux des manoirs de Loraille et de La Bouëtte (sur la commune actuelle de St-Roch-sur-Egrenne) et de La Servière (sur la commune actuelle de Céaucé) (voir le bouquin de DESGRIPPES).
. L'ancienneté de la noblesse des LEDIN fait l'objet de deux thèses : (1) les LEDIN prétendaient descendre d'une famille du Nord de la France et qu'un des leurs, Pierre LEDIN, avait rendu, en 1382, de tels services au suzerain de Domfront, le comte d'Alençon, qu'il avait été autorisé à apposer ses armes sur celles de la ville ; (2) des érudits locaux auto-proclamés, sans doute désireux d'abaisser les LEDIN pour complaire aux descendants d'acheteurs de Biens Nationaux, ont interprété de prétendues annotations de d'HOZIER comme réfutant cette théorie ; le fait est qu'est déposé aux archives de l'Orne un exemplaire du document au timbre du cabinet d'HOZIER, qui ne comporte aucune remarque négative de ce prétendu type. Il existe d'autres sources à la contestation, se fondant sur d'anciens procès intentés sous l'Ancien Régime par certains nobles voisins jaloux des LEDIN. Le fait est que les LEDIN semblent s'être élevés au sein de la noblesse essentiellement par des alliances de plus en plus prestigieuses, jusquà VASSY, gendre du dernier LEDIN et émigré à la Révolution. En tout état de cause, affirmer comme vous le faites que la noblesse des LEDIN ne date que d'Henri IV semble aller un peu trop vite en besogne.
. Le logis reconstruit en 1598 devait comporter une aile en retour qui a dû brûler avant le début du XVIIIème siècle ; c'est alors que la partie gauche de la façade du logis sur cour a été modifiée (percement de 4 fenêtres ; apposition d'un écu daté de 1598 au milieu de ces 4 fenêtres nouvelles). Le logis a brûlé en 1884 (foudre + 1 nuit sans secours). A la suite de cet incendie, les murs ont été arasés d'une soixantaine de centimètres (cf jet d'eau de la cheminée centrale) ; les linteaux des fenêtres du 1er étage sont désormais en bois ; les lucarnes ont disparu ; la charpente a été refaite à l'économie. Dans les années 1950, Henri LEVÊQUE a sévi dans le logis (ciment, matériaux bas de gamme, cheminée de Mebzon à Sept-Forges au 1er, cheminée de la Jarrière à Torchamp au RC, toutes deux maçonnées au ciment ; dans le salon, boiseries IIIème République mal coupées et ornées de plâtre ; etc.).
. La tour Louis XIII était accessible par une échauguette dont il reste la trace dans l'arrière-cour, au niveau du 1er étage ; l'escalier actuel est postérieur (il bouche d'ailleurs une ancienne ouverture, encore visible à mi-hauteur). Au 1er étage de la tour Louis XIII était logé le chapelain attaché à la chapelle du manoir.
. Le colombier devait comporter à l'origine un millier de trous ; il n'en reste qu'une centaine, visibles au 2ème étage actuel. Il est possible qu'à l'origine, le colombier ait eu une couverture analogue à celle de la tour Louis XIII. L'équivalent de 2 étages a été rendu habitable au XVIIIè siècle (cf linteaux des fenêtres). Vers 1950, Henri LEVÊQUE a fait percer 4 fenêtres au 2ème étage du colombier.
. Les écuries mansardées sont datées de 1764, charpente due à Jean MIDY, déjà intervenu 2 ans plus tôt sur la cave (ses spécialités : croix de Saint-André ; belles sablières extérieures ; signature).
. Le dôme à impériale date de Louis XIV ; il surplombe un mur percé de 4 meurtrières, sans doute d'apparat (pour signifier l'ancienneté de la noblesse).
. Le bâtiment Nord, construit au début du XIXème siècle, était à usage agricole ; il bouchait le flanquement réciproque de meurtrières de la tour Nord-Est et la tour Louis XIII. Il a été rendu habitable après 1950. Ces travaux étaient tellement ratés qu'une dérestauration s'imposait dès lors que le parti avait été retenu de ne pas raser ce bâtiment.
. La cour n'était donc pas fermée à l'origine. Elle l'a été progressivement.

(fin de citation)

P.S. (du 9 octobre 2021) : Plus de sept ans après avoir écrit ce texte, je n'aurais rien à y changer (sauf un ou deux termes trop familiers).

Je regrette d'autant plus qu'après que M. MAFFRE a refusé de tenir compte de ces remarques (pas seulement sur l'incendie de 1884), les contre-vérités ou insuffisances du diagnostic qu'il a assénées sous son timbre d'architecte du patrimoine continuent à "dire le droit" auprès de son fan-club administratif.

Il faudrait qu'un autre architecte du patrimoine, auréolé d'un prestige au moins égal parmi les instances administratives, accepte de détordre les erreurs en question.

Après mes plus de trente ans d'essais de dialogue plus ou moins facile avec lesdits types d'interlocuteurs, je ne suis pas persuadé que, le système étant ce qu'il est, ce puisse être demain la veille.
Hendrick ter Brugghen
La Vocation de saint Matthieu, huile sur toile, 152 × 195 - 1620 (Musée des Beaux-Arts, Le Havre).

Hendrick ter Brugghen
Le Duo, huile sur toile, 106 × 82 - 1628 (Musée du Louvre, Paris)

Hendrick ter Brugghen
Le Concert, huile sur toile, 99,1 × 116,8 - 1626-1627 (ca.) (National Gallery, Londres)

N.D.L.R. : Presque contemporain de la Chaslerie.
A Paris aussi !

Photo tirée du journal de Renaud CAMUS.

Ce message s'adresse à Mr T. qui continue à me dire ne pas être convaincu par le choix d'une couverture bicolore pour l'aile "de la belle-mère".